- Pisa (Toscana)
San Ranieri di Pisa è noto principalmente per essere il patrono della città di Pisa e dei viaggiatori. Nato intorno al 1117 in una famiglia agiata, Ranieri Scacceri mostrò presto una grande devozione religiosa. Dopo una giovinezza vissuta tra le gioie terrene, si convertì all'età di 30 anni a seguito di un pellegrinaggio in Terra Santa. Durante la sua vita, Ranieri operò molti miracoli, tra cui quello di calmare una tempesta in mare, salvando così i marinai dal naufragio. Al suo ritorno a Pisa, visse in povertà e si dedicò alla preghiera e alla penitenza. Morì il 17 giugno 1160 e fu canonizzato nel 1595. Una delle curiosità legate a San Ranieri è che le sue spoglie si trovano nella Chiesa di San Francesco a Pisa, ma la sua testa è custodita separatamente nella Cattedrale di Pisa, nei pressi del famoso Campanile pendente. La festa di San Ranieri viene celebrata con grande solennità il 17 giugno e la sua figura rimane un punto di riferimento per i pisani e i fedeli di tutto il mondo.
Il patrono di Pisa, che viene festeggiato con la Luminaria e con il Gioco del Ponte, è stato nel XII secolo un precursore di san Francesco d’Assisi con la sua scelta di vivere in povertà, preghiera e penitenza da semplice laico
La sera del 16 giugno, vigilia della festa di san Ranieri, il patrono della città e della diocesi di Pisa, migliaia di lumini di cera racchiusi in bicchieri illuminano le facciate dei palazzi sull’Arno riprendendone le linee, mentre altri scendono dal fiume come minuscole barchette luminose alle quali una volta, prima dei pesticidi, sembravano rispondere con le loro intermittenti fiammelle le lucciole nei giardini. Il giorno seguente si svolge la Regata di san Ranieri, dove i quartieri cittadini si sfidano in Arno chiudendo il ciclo religioso per aprire quello guerriero che si conclude nell’ultima domenica del mese con il Gioco del Ponte. Centinaia di figuranti stilizzano una battaglia incruenta che culmina sul ponte della città, quello di Mezzo: su di esso due squadre, che rappresentano Mezzogiorno e Tramontana, le due sponde dell’Arno, cercano di spingere sulla sponda opposta un carrello su rotaie.
I pisani venerano profondamente il loro patrono che per tanti aspetti può essere considerato un precursore di san Francesco d’Assisi. Sulla sua vita possediamo una fonte di prima mano, la biografia che ha scritto il canonico pisano Benincasa, suo contemporaneo e confidente. Era nato a Pisa, fra il 1115 e il 1118, in una famiglia agiata: il padre, Gandolfo Scacceri, era mercante, la madre Mingarda apparteneva al nobile casato dei Buzzaccherini. Non ebbe fratelli ma soltanto una sorella, che morì giovane.
Il padre, che l’aveva destinato a continuare l’azienda familiare, lo mandò a scuola dal prete Enrico di San Martino che gli insegnò a leggere la Bibbia. Ranieri, il cui nome derivava dal germanico Raginhar e significava «esercito o popolo sostenuto dal consiglio divino», viveva spensieratamente, come molti coetanei del suo ambiente, intento a giochi, musiche e corteggiamenti. Ma un giorno, mentre si trovava a suonare la rota in casa di una parente, passò per la via un uomo considerato santo, Alberto Leccapecore, che dopo aver lasciato la natia Corsica aveva deciso di rinunciare a tutto e di vivere poveramente in preghiera, ospitato nel monastero di San Vito. «Non vedete l’angelo del Signore che passa da queste parti?» disse la donna soggiungendo: «Perché non abbandonate il canto e a imitazione di tanti altri, che per far profitto nella via del Signore tengono dietro a’ suoi passi, voi pure principiate a seguirlo?».
Ranieri, sorpreso da un interno tremore, lo seguì fino al monastero di San Vito dove il beato Alberto gli domandò: «Siete voi quello che pochi minuti fa sonava in quel luogo chiamato Arsiccio?», e avendone avuta conferma seguitò: «Se voi con la stessa premura e sollecitudine serviste Dio, come avete servito senza profitto il mondo, quanto meglio sarebbe per voi, quanto più giovevole alla vostra salute». «Per questo motivo v’ho seguito fin qui» rispose Ranieri. «E voi credete che le mie preghiere per voi saranno esaudite dal Signore?» domandò Alberto. «Ne sono certo.» Allora il sant’uomo gli disse di tornare due giorni dopo.
Ma all’ora dell’appuntamento Ranieri stava mangiando tranquillamente con i genitori dimentico della promessa. Ad un tratto gli venne in mente quel colloquio e, preso dal terrore, lasciò la tavola correndo a San Vito. Alberto, che l’aspettava, lo introdusse in una stanza dov’era stata collocata una tavola intorno alla quale usavano sedere i monaci. Si misero l’uno di fronte all’altro: ed ecco che discese su di loro una luce così splendente che i due quasi non riuscivano più a scorgersi, mentre si spandeva nell’aria una fragranza paradisiaca.
Cessato lo splendore, Ranieri chiese che cosa dovesse fare al beato Alberto, il quale rispose: «No, figlio, io non devo ingerirmi nella direzione dell’anima vostra: lo Spirito del Signore sta dentro di voi e renderà pura e monda la sua abitazione nel vostro cuore; ed egli dirigerà i vostri passi. Solamente vi dirò che il prossimo lunedì dovrete recarvi dal priore di Sant’Jacopo in Orticaia per confessarvi».
Quando si fu confessato Ranieri si chiuse nella casa paterna in penitenza e in lacrime mentre i genitori, che non riuscivano a capire che cosa gli fosse successo, temevano che avesse perduto il senno. Ma il sacerdote che l’aveva istruito da ragazzo intuì subito, incontrandolo, il motivo di quelle lacrime e rassicurò i genitori.
Al terzo giorno di penitenza al giovane mancarono le lacrime e la vista. La madre, disperata, urlava per la casa lacerandosi le vesti. Ranieri, preoccupato più per lei che per se stesso, pregò il Signore di restituirgli la vista. E gli occhi tornarono a vedere.
Qualche tempo dopo, mentre era in casa di un parente che abitava vicino alla chiesa di San Pietro in Vincoli, vide lo Spirito avvicinarsi nelle sembianze di un’aquila che portava nel rostro una fiaccola accesa e dirgli: «Io ritorno proprio adesso da Gerusalemme. Prendi intanto tu questo lume che ti servirà per dar luce a più popoli che dimorano fra le tenebre densissime della colpa».
Era un invito inequivocabile sicché Ranieri cominciò ad accarezzare il progetto di un viaggio in Terrasanta. Quando ormai erano passati quasi quattro anni dalla conversione, nel 1140, poté aggregarsi ad alcuni nobili pisani che si recavano da quelle parti per commerciare.
Giunto in Palestina, decise di spogliarsi di tutti gli abiti e di indossare una semplice pilurica, la tunica pelosa del pellegrino e del penitente, e di portare con sé un solo libro, il Salterio, vivendo nella penitenza più rigida, prendendo cibo due sole volte alla settimana. Per questo motivo è spesso rappresentato con la pelurica e il bordone da pellegrino, come nella tavola di anonimo del Trecento, custodita nel Museo Nazionale di San Matteo a Pisa. Talvolta tiene una croce in una mano mentre l’aquila con la fiaccola accesa plana su di lui, come in un’immagine popolare riprodotta nella Vita di Ranieri del Benincasa, tradotta da fra Giuseppe Maria Sanminiatelli (Pisa 1842).
Fu ricompensato da frequenti visioni. Un giorno venne presentato da due angeli alla Vergine che gli disse: «Tu, o Ranieri, riposerai nel mio seno». «E come potrò essere degno di tanto onore» replicò lui «se non sono altro che miserabilissimo verme?» «Per mio seno» gli spiegò la Madonna «intendo la chiesa fabbricata in Pisa a mio onore in cui dopo la morte riposerà il corpo tuo.»
Tredici anni dopo, nel 1153, rientrò a Pisa accolto con affetto dai canonici e dal popolo a cui erano giunti echi della sua vita di penitenza in Palestina. Trascorso un anno nel monastero di Sant’Andrea, dove era la tomba di sua madre, Ranieri si trasferì a San Vito restandovi fino alla morte. Era un semplice laico che viveva in comunione con la gerarchia pregando, predicando, consigliando la gente che si rivolgeva a lui e compiendo miracoli. La biografia del Benincasa ne riferisce parecchi, fra cui quello della resurrezione di un fanciullo. Narra che un giorno un fanciullo moribondo aveva pregato il padre di condurlo da Ranieri perché era certo che l’avrebbe guarito. Ma per la via morì tra le braccia del genitore che volle tuttavia esaudire il suo desiderio. Quando il santo seppe la storia, si ritirò a pregare finché il fanciullo non si risvegliò dalla morte.
Il Benincasa riferisce che fin dalle prime ore del mattino v’erano persone che attendevano la sua comparsa e fino a tarda sera restavano per ascoltare la sua parola, sperimentandone i poteri taumaturgici.
Morì il 17 giugno 1171: tale era la sua fama di santità che il corpo fu portato in Duomo e seppellito nella cappella del Santissimo Sacramento. Fu proclamato presto patrono della città mentre pittori e scultori cominciavano a rappresentare gli episodi più celebri della sua vita. Due secoli più tardi Antonio Veneziano affrescò nel Camposanto le Storie della vita di Ranieri in Terrasanta.
Il 25 marzo 1688 i suoi resti furono traslati con una solenne processione nella cappella dell’Incoronata dove si trovano tuttora. «Dopo questa traslazione non fu più levato da quell’urna ove presentemente riposa, se non che in occasione di celebrarsi la di lui festa straordinaria» scriveva fra Giuseppe Maria Sanminiatelli nella libera traduzione della Vita del Benincasa «a render più solenne la quale veniva, e viene talvolta depositato dall’urna preziosa in un’altra di legno, ricca per la doratura, onde poterla agevolmente collocare sull’altar maggiore, e quindi nella sera precedente la festa trasferirlo con gran pompa e divota processione per la città. Di qui ebbe principio la festività veramente trionfale, cioè l’Illuminazione, che per il vago e decoroso aspetto che rappresenta, mirabilmente richiama fin dai più lontani Paesi gli stranieri.»