Sant' Antonino di Piacenza è venerato come il protettore dei carcerati. Nacque in una famiglia nobile nel III secolo e visse in un periodo di persecuzioni contro i cristiani. Divenne sacerdote e si dedicò con fervore alla predicazione e al soccorso dei bisognosi, specialmente dei prigionieri. La sua fama di santità crebbe rapidamente dopo la sua morte, avvenuta intorno al 303 d.C., a causa delle persecuzioni dell'imperatore Diocleziano. Si narra che, nonostante le torture subite, riuscì a mantenere salda la sua fede. La sua agiografia racconta che molte furono le grazie e i miracoli attribuiti alla sua intercessione, specialmente a favore di coloro che si trovavano rinchiusi in carcere. La sua devozione si diffuse rapidamente anche fuori dalla città di Piacenza e la sua figura divenne simbolo di speranza per i detenuti e di incoraggiamento alla carità cristiana. La sua festa liturgica viene celebrata il 4 luglio.
Secondo la leggenda il patrono di Piacenza sarebbe stato un soldato della Legione Tebea che, sfuggito allo sterminio ordinato dall’imperatore Massimiano, giunse nella città emiliana dove venne martirizzato.
Fin dal IV secolo era venerato a Piacenza sant’Antonino, ricordato da san Vittricio di Rouen (340-410) in De laude sanctorum e dal Martirologio Gerominiano, che fu composto fra il 431 e il 450 nell’Italia settentrionale. Se sull’esistenza del martire, le cui reliquie sono custodite nella chiesa omonima, non si può dubitare, non abbiamo tuttavia documenti coevi sulla sua vita. La narra un documento molto tardo, Gesta sanctorum Antonini, Victori, Opilii et Gregorii PP.X., che risale alla fine del IX secolo o all’inizio del X e ha ispirato tutta l’iconografia dove Antonino appare generalmente in abito militare, a piedi o a cavallo, con la spada sguainata o più spesso con il gonfalone della città, di cui è il patrono principale.
Secondo questo manoscritto, conservato nell’archivio della basilica di Sant’Antonino a Piacenza, il martire, nato in una nobile famiglia, fu uno dei soldati della Legione Tebea, istituita dall’imperatore Diocleziano verso il 292 e composta da soldati dell’Alto Egitto di cui ho narrato il tragico massacro nel capitolo dedicato ad Alessandro di Bergamo.
Probabilmente non tutta la Legione fu massacrata, ma soltanto quei cristiani che la componevano: forse una coorte o qualcosa di simile. Alcuni soldati riuscirono tuttavia a fuggire: tra questi vi era Antonino che abbandonò il Vallese e, valicate le Alpi, scese attraverso la Lombardia sino a Piacenza. Era la fine del 302 o l’inizio del 303.
Nonostante la persecuzione che infieriva ormai anche in Italia, il giovane legionario non restò inerte, si mise a predicare convertendo un ricco e nobile piacentino di nome Festo.
Per molto tempo si è anche narrato che Antonino si recò in Terrasanta perché gli si attribuiva una relazione sul viaggio pubblicata più volte nel medioevo e nel rinascimento. Ma un secolo fa si è reperita la redazione originale in due manoscritti del IX secolo che così cominciano: «Praecedente beato Antonino martyre, ex eo quod a civitate Placentina egressus sum, in quibus locis sum peregrinatus...». Da questa frase e dalle indicazioni storiche e archeologiche contenute nella relazione e databili a un periodo intorno al 570, è risultato che il viaggio in Terrasanta fu compiuto da un gruppo di cittadini di Piacenza che si erano posti sotto la protezione del patrono. L’autore della relazione non è dunque Antonino, ma un anonimo pellegrino che al ritorno volle scrivere i ricordi del viaggio.
La predicazione del giovane militare non poteva passare inosservata. Scoperto, venne condotto fino a Travo per sacrificare alla dea Minerva Medica alla quale era dedicato il tempio. Al suo rifiuto venne decapitato poco lontano dalle sponde del Trebbia dove una volta vi era una fontana e una cappella dedicata al martire.
Il corpo fu gettato in acqua, ma due angeli ne raccolsero il capo e parte del sangue versato in un’ampolla e posero tutto in una barchetta che giunse fino alla casa di Festo; il quale scoprì miracolosamente anche il corpo e lo seppellì con le altre reliquie in un «pozzo» o piccolo cimitero fuori delle mura, dove oggi sorge la chiesa di Santa Maria in Cortina. Un’iscrizione del XII secolo sopra il muro a mezzogiorno ricorda che in quel luogo fu ritrovato il suo corpo, e un’altra su una lastra di marmo infissa a un muro interno riferisce: «Antonino di Apamea martirizzato a Travo sotto Massimiano di qui fu portato nella chiesa di San Vittore dal vescovo Savino».
Apamea era la città siriana dove la Legione Tebea soggiornò a lungo quando operava sul confine orientale dell’Impero. Nel medioevo si cominciò ad aggiungere il suo nome a quello dei soldati della Legione, che tuttavia erano nati secondo la tradizione in Egitto, a Tebe o nella regione circostante.
Quanto a san Savino, fu il secondo vescovo della diocesi, succeduto nel 376 a Vittore. Fu lui a ritrovare, dopo aver avuto una visione in sogno, i resti di sant’Antonino e a traslarli nella basilica che il suo predecessore aveva costruito dedicandola a san Vittore, martirizzato a Lodi nel 286 e sepolto a Milano nell’omonima chiesa.
La traslazione fu accompagnata, secondo la leggenda, da fatti prodigiosi quali l’improvvisa comparsa di altri sei vescovi per rendere più solenne la cerimonia. Il fatto potrebbe essere realmente avvenuto secondo l’uso abituale di quel tempo, come narra lo stesso sant’Ambrogio a proposito di altre traslazioni. Ma si tratterebbe di un fatto naturale: la partecipazione corale dei vescovi della zona a una cerimonia di grande rilevanza religiosa.
Nella basilica che, dedicata successivamente a sant’Antonino, venne ricostruita nell’XI secolo, erano raccolte le principali testimonianze iconografiche sul martire che ora si trovano per la maggior parte nel contiguo museo: come ad esempio la tempera di un mantegnesco del XV secolo che lo raffigura armato di tutto punto mentre avanza a cavallo con il bandierone di Piacenza agitato dal vento dietro la sua testa aureolata.
Molto importante per la tradizione popolare piacentina è la «brandazza», un apriprocessione bronzeo a forma di rosone, su cui campeggia il santo a cavallo. Ma l’opera di maggior interesse è il Dossale di Bartolomeo da Groppallo (1455), una tempera su tavola con fondo oro, nei cui otto scomparti è raccontata la vita di sant’Antonino secondo la leggenda: dall’arrivo a Piacenza fino alla sua definitiva sepoltura.
Notevoli sono infine i cinque grandi quadri che Roberto De Longe dipinse tra il 1693 e il 1695 per il presbiterio della chiesa dove si trovano tuttora. Insieme con le altre testimonianze iconografiche le tele illustrano quella leggenda sulla quale è difficile pronunciarsi sicché ancora oggi gli agiografi si domandano se sant’Antonino sia stato veramente un soldato e se sia giunto dalla Legione Tebea. Rimane invece certo che doveva essere un laico la cui testimonianza di fede si concluse nel martirio. Nella liturgia piacentina gli sono dedicate due feste: la principale il 4 luglio, la seconda il 13 novembre, giorno dell’invenzione delle sue reliquie.
Sant' Antonino di Piacenza nacque il 270 circa
Sant' Antonino di Piacenza nacque a Egitto
Sant' Antonino di Piacenza morì il 303
Sant' Antonino di Piacenza si festeggia il 30 settembre